Una storia di doppi standard e sfollamento

Il conflitto israelo-palestinese è una lotta profondamente radicata,
segnata da ironie storiche e ingiustizie contemporanee che perpetuano un
ciclo di violenza e sfollamento. Questo saggio esamina quattro temi
chiave: il ruolo storico della Palestina come rifugio per gli immigrati
ebrei in fuga dalle persecuzioni naziste, solo per essere poi sfollati
essi stessi; l’uso del terrorismo da parte delle milizie sioniste e
successivamente da parte di Israele, mentre si etichettano gli altri
come terroristi; le norme sui diritti umani che hanno permesso la
creazione di Israele, ma che ora vengono violate contro i palestinesi; e
l’ingiustizia del Piano di Partizione dell’ONU del 1947, seguito
dall’espansione illegale di Israele. Questi temi rivelano un modello di
doppi standard, contraddizioni morali e violazioni legali che continuano
a minare i diritti dei palestinesi e sottolineano la necessità di una
soluzione giusta.

La Palestina come rifugio, ora sfollata

Negli anni ’30 e ’40, la Germania nazista espulse gli ebrei, privandoli
della cittadinanza con le Leggi di Norimberga (1935) e intensificando le
persecuzioni dopo l’Anschluss del 1938. La Conferenza di Évian del
luglio 1938, avviata da Franklin D. Roosevelt, non riuscì a fornire
rifugio: parteciparono 32 paesi, ma solo la Repubblica Dominicana e il
Costa Rica offrirono di accogliere numeri significativi (rispettivamente
100.000 e 200 famiglie), mentre Stati Uniti e Regno Unito rifiutarono di
aumentare le quote. Con poche opzioni, molti ebrei si rivolsero alla
Palestina sotto Mandato britannico, dove il Mandato facilitava
l’immigrazione in base alla Dichiarazione Balfour (1917). Tra il 1933 e
il 1939, arrivarono oltre 120.000 ebrei, e nel 1947 la popolazione
ebraica raggiunse il 33% (600.000 su 1,9 milioni). In questo contesto,
la Palestina accolse e salvò i rifugiati ebrei quando gran parte del
mondo voltò loro le spalle.

Oggi, questa storia è capovolta dalla narrazione sionista secondo cui
“nessun paese vuole accogliere i palestinesi”. Dall’attacco di Hamas del
7 ottobre 2023 e dalla campagna di rappresaglia di Israele a Gaza, 1,9
milioni di palestinesi (su 2,1 milioni) sono stati sfollati, secondo le
stime delle Nazioni Unite. Human Rights Watch (HRW) documenta queste
azioni come trasferimento forzato, un crimine di guerra ai sensi delle
Convenzioni di Ginevra, che coinvolge ordini di evacuazione, attacchi su
zone sicure e la distruzione del 70% delle abitazioni di Gaza.
Funzionari israeliani, come il Ministro delle Finanze Bezalel Smotrich,
hanno suggerito una “migrazione volontaria” per i gazani, insinuando che
il loro sfollamento risolverebbe il conflitto. Questa narrazione ignora
la diaspora palestinese di 6 milioni in paesi come Giordania, Cile e
Germania, e il fatto che il blocco israeliano e il controllo sui confini
di Gaza (ad esempio, il valico di Rafah) impediscano ai palestinesi di
andarsene, non per mancanza di volontà internazionale. L’ironia è
chiara: Israele, costruito in parte da rifugiati che trovarono rifugio
in Palestina, ora sposta forzatamente i palestinesi mentre afferma che
nessun altro li accetterà, violando il loro diritto di rimanere nella
loro patria secondo il diritto internazionale (Dichiarazione Universale
dei Diritti Umani, Articolo 13).

La continuità del terrorismo

Le milizie sioniste Irgun e Lehi utilizzarono tattiche durante il
Mandato britannico che oggi sarebbero classificate come terrorismo, con
l’obiettivo di espellere i britannici e assicurare uno stato ebraico.
Irgun, guidata da Menachem Begin, fece esplodere il King David Hotel nel
1946, uccidendo 91 persone (41 arabi, 28 britannici, 17 ebrei). Il
massacro di Deir Yassin del 1948, compiuto da Irgun e Lehi, uccise oltre
100 abitanti del villaggio palestinese, innescando una fuga di massa e
intensificando la Nakba. Altri atti includevano l’impiccagione nel 1947
dei sergenti britannici Clifford Martin e Mervyn Paice, attentati nei
mercati arabi e attacchi internazionali come il bombardamento
dell’ambasciata britannica a Roma nel 1946. Lehi assassinò Lord Moyne
nel 1944 e il mediatore delle Nazioni Unite Folke Bernadotte nel 1948,
quest’ultimo forse con il coinvolgimento dello stato israeliano. Questi
atti—mirati a civili, volti a instillare paura e a perseguire obiettivi
politici—rispecchiano le definizioni moderne di terrorismo (Risoluzione
49/60 dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 1994). Begin, su cui
l’MI5 aveva messo una taglia di £10.000, divenne poi Primo Ministro di
Israele (1977-1983), fondando il partito Likud, oggi guidato da Benjamin
Netanyahu.

Da allora, Israele ha compiuto atti che riflettono questa violenza,
spesso presentati come autodifesa, ma criticati come terrorismo o
violazioni del diritto internazionale. Nel 2006, Israele bombardò
l’Aeroporto Internazionale di Beirut-Rafic Hariri, prendendo di mira
infrastrutture civili e lasciando migliaia di persone bloccate,
attirando la condanna di HRW per mancanza di necessità militare. Nel
1973, Israele abbatté il volo 114 della Libyan Arab Airlines, uccidendo
108 delle 113 persone a bordo, un atto ritenuto illegale
dall’Organizzazione Internazionale dell’Aviazione Civile (ICAO). Israele
distrusse anche l’Aeroporto Internazionale Yasser Arafat di Gaza nel
2001-2002, simbolo di restrizioni più ampie al movimento palestinese
sotto il blocco del 2007. Tuttavia, Israele etichetta i leader di Hamas
come terroristi, prendendoli di mira con assassini—ad esempio, Ismail
Haniyeh a Teheran (luglio 2024) e Yahya Sinwar a Rafah (ottobre
2024)—ignorando la propria storia. Hamas, designato come gruppo
terroristico da Stati Uniti e UE, ha attaccato civili israeliani, ma il
suo ruolo politico a Gaza e i cambiamenti nella retorica (ad esempio, la
carta del 2017) vengono ignorati, negandogli la legittimità che Begin
ottenne. Questo doppio standard—scusare la violenza sionista e
israeliana mentre si condanna la resistenza palestinese—perpetua il
ciclo del conflitto.

Diritti umani: Abilitare Israele, violare i palestinesi

Le norme sui diritti umani che limitavano i britannici durante il
Mandato permisero la creazione di Israele, ma quelle stesse norme sono
ora violate da Israele contro i palestinesi. Il Mandato britannico
incaricava la Gran Bretagna di “salvaguardare i diritti civili e
religiosi di tutti gli abitanti della Palestina”, riflettendo i primi
principi dei diritti umani. Di fronte all’insurrezione di Irgun e Lehi,
la risposta britannica fu moderata: l’Operazione Shark (1946) comportava
arresti e coprifuoco, e i militanti catturati furono deportati in campi
in Eritrea, Kenya e Cipro, evitando distruzioni di massa. L’esaurimento
post-Seconda Guerra Mondiale, la pressione internazionale (in
particolare dagli Stati Uniti dopo l’Olocausto) e le norme emergenti sui
diritti umani limitarono l’uso di una forza sproporzionata. Una risposta
più brutale—simile a quella di Israele a Gaza—avrebbe potuto schiacciare
il movimento sionista, impedendo la fondazione di Israele nel 1948.

Oggi, Israele viola queste norme nel trattamento dei palestinesi.
Dall’ottobre 2023, la campagna di Israele a Gaza ha sfollato 1,9 milioni
di persone, ucciso oltre 43.000 e distrutto il 70% delle abitazioni,
azioni che HRW classifica come trasferimento coercitivo, un crimine di
guerra. Il blocco del 2007 costituisce una punizione collettiva, vietata
dall’Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra, limitando
l’accesso ai beni essenziali. Gli omicidi mirati in paesi terzi, come
l’uccisione di Haniyeh in Iran, violano la sovranità e sollevano
preoccupazioni su esecuzioni extragiudiziali secondo il diritto
internazionale dei diritti umani. L’ironia è profonda: le norme che
proteggevano la popolazione ebraica negli anni ’40 sono ora ignorate,
poiché le azioni di Israele minano i diritti dei palestinesi alla vita,
al movimento e all’autodeterminazione.

Partizione ingiusta, espansione illegale

Il Piano di Partizione dell’ONU del 1947 (Risoluzione 181) era
intrinsecamente ingiusto, assegnando il 56% della Palestina sotto
Mandato (14.100 km²) a uno stato ebraico per una popolazione minoritaria
(33%, 600.000 persone) che possedeva il 7% della terra, mentre la
maggioranza araba (67%, 1,3 milioni) riceveva il 43% (11.500 km²).
Gerusalemme doveva essere una città internazionale. La leadership
ebraica accettò il piano come un passo verso la statualità, mentre la
leadership araba lo respinse, sostenendo che violava
l’autodeterminazione. La successiva guerra civile del 1947-1948 e la
guerra arabo-israeliana del 1948 videro Israele espandersi al 78% della
Palestina (20.770 km²), sfollando 750.000 palestinesi (la Nakba), con
massacri come Deir Yassin che alimentarono l’esodo.

Questo 56% non fu sufficiente per Israele, che da allora si è espanso
illegalmente attraverso l’occupazione, gli insediamenti e l’annessione.
La Guerra dei Sei Giorni del 1967 vide Israele occupare la Cisgiordania,
Gaza, Gerusalemme Est e le Alture del Golan. Il Parere Consultivo della
Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) del 2024 dichiara questa
occupazione illegale, citando violazioni dell’autodeterminazione
palestinese attraverso oltre 700.000 coloni in Cisgiordania e
Gerusalemme Est, illegali secondo l’Articolo 49 della Quarta Convenzione
di Ginevra. I palestinesi affrontano sfratti regolari, come a Sheikh
Jarrah, per fare spazio ai coloni. L’annessione di Gerusalemme Est da
parte di Israele nel 1980 come sua “capitale indivisa” è illegale, come
riaffermato dalla Risoluzione ONU A/RES/ES-10/24 (2024), che condanna
anche gli insediamenti e il muro di separazione. Queste azioni
consolidano il controllo di Israele, creando “effetti irreversibili”
equivalenti all’annessione, sfollando ulteriormente i palestinesi e
contraddicendo i principi di equità del piano di partizione.

Conclusione

Il conflitto israelo-palestinese è segnato da ironie storiche e
ingiustizie contemporanee che rivelano profondi doppi standard. La
Palestina offrì rifugio agli immigrati ebrei quando il mondo li
respinse, ma ora Israele sfolla i palestinesi mentre afferma che nessuno
li accetterà, ignorando il proprio ruolo nella loro condizione. Le
milizie sioniste usarono il terrorismo per costruire uno stato, e
Israele successivamente commise atti simili—bombardando aeroporti,
abbattendo aerei—mentre etichetta Hamas come terrorista, nonostante il
passato terroristico di Begin. Le norme sui diritti umani che permisero
la creazione di Israele sono ora violate contro i palestinesi, come
dimostrato dal trasferimento forzato e dal blocco di Gaza. La partizione
ingiusta del 1947, seguita dall’espansione illegale di Israele
attraverso insediamenti e annessione, continua questo modello di
sfollamento, violando il diritto internazionale e i diritti dei
palestinesi. Queste contraddizioni sottolineano l’urgente necessità di
responsabilità e di una risoluzione che rispetti l’autodeterminazione
palestinese, affrontando le lamentele storiche e le ingiustizie
contemporanee al cuore di questo conflitto.